A cura di Caterina Furlan
La cosiddetta Prova del veleno è considerata a ragione il capolavoro del pittore Antonio Carneo (1637-1692) che, originario di Concordia Sagittaria, ha svolto la maggior parte della sua attività a Udine. Raffigurante un giovane in atto di comprimersi le viscere per il dolore, l’opera è descritta ab antiquo con questo titolo. Tuttavia, in assenza di specifici elementi distintivi, la critica si è interrogata a lungo sul suo reale significato e in particolare sulla possibilità che si tratti del giovane Mitridate che si sottopone alla prova del veleno allo scopo di immunizzarsi. In questa direzione sembrano condurre, in effetti, le risultanze della giornata di studio organizzata in palazzo Caiselli nell’ottobre del 2016 dalla Fondazione Ado Furlan in collaborazione con il Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell’Università di Udine. Nei vari contributi riuniti nel presente quaderno si è cercato non solo di analizzare il dipinto dal punto di vista storico-artistico e della tecnica esecutiva, ma anche di verificare la fortuna della figura di Mitridate tra Seicento e Settecento. Oltre ad aver ispirato l’omonima tragedia di Racine (1673), il sovrano pontico suscitò notevole interesse anche a livello musicale, come attestano le opere di Alessandro Scarlatti (1707) e di Wolfgang Amadeus Mozart (1770). Inoltre, stando alle fonti antiche, egli ebbe grande dimestichezza con le sostanze venefiche e con i relativi rimedi, tra cui la famosa teriàca. Eseguita presumibilmente nel corso degli anni Settanta del Seicento, la Prova del veleno fu commissionata al Carneo da qualche membro della nobile famiglia Valentinis di Tricesimo, che ne detenne il possesso fino alla metà del secolo scorso. Acquistata da Italo Furlan nel 1974, dopo la sua scomparsa (2014) è entrata a far parte delle raccolte della Fondazione Ado Furlan.