A cura di Anna Iuso
Quando non si riesce a spiegare un concetto, nulla di meglio che raccontare una storia per tentare di illustrarlo. Non volendosi sottrarre all’evento 150°, questo numero di «Primapersona» ha tuttavia tentato di introdurre una voce nuova al coro: oltre a ricordare, coi saggi e con le autobiografie, il Risorgimento e i suoi protagonisti, ha provato a riflettere sulla nozione di “patria”. Il titolo è una domanda perché le risposte sono molteplici: non esiste una sola patria, né una sola concezione di essa. È un concetto che esalta e tormenta, che chiama alla morte o porta in uno stadio. Ne resta, in fondo, la necessità di un’idea di appartenenza a qualcosa che ci sovrasta, sperabilmente portatrice di un’etica positiva. Ma non sempre è così. Per questo, le storie e i saggi restano sotto il vessillo della domanda, perché se le patrie sono necessarie, è anche indispensabile capire che siamo noi a farle. Ci hanno insegnato che la patria è qualcosa che ci appartiene e a cui apparteniamo, hanno riconosciuto la necessità di credere in Qualcosa e, nella fattispecie, in Qualcuno, per cercare il senso del nostro agire. Messa così, la patria è lingua, cultura, religione; ma anche tante altre cose: essenzialmente, la base di un’etica per cui agire e in cui riconoscersi.