Di solito è il cinema a raccontare ciò che accade nei tribunali: l’arringa dell’avvocato, la severità del giudice, il pianto del condannato sono luoghi classici di mille e mille pellicole. Accade però, non di rado, che le parti si invertano e che siano i giudici a doversi occupare di un film. A trascinare ‘il cinema alla sbarra’ è chi lamenta la violazione di un proprio diritto della personalità: il nome, l’immagine, l’onore, la riservatezza – diritti ‘importanti’, tutelati dalla Costituzione. Ma chi si difende impugna un’arma non meno robusta: la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà dell’arte – prerogative anch’esse coperte da garanzia costituzionale.
Questo libro ricostruisce alcune avventure/disavventure giudiziarie del nostro cinema del dopoguerra. Piccoli tesori del nostro passato riaffiorano dalle pagine ingiallite delle raccolte di giurisprudenza:
Salvatore Giuliano,
Mamma Roma,
Il vigile,
La grande guerra,
Accattone,
Il generale della Rovere,
Il bidone,
Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo,
L’oro di Napoli,
Febbre da cavallo… L’opera dei più grandi registi e dei più amati attori – Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Vittorio Gassman, Mario Monicelli, Luigi Zampa, Pier Paolo Pasolini… – viene esaminata, con il caratteristico linguaggio giudiziario,
In nome del popolo italiano.
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