Miklós Hubay
Un crudo dramma tra le porte chiuse di uno scantinato mette in scena la condanna a morte di una vittima di guerra: una donna, ultima testimone della cultura del suo popolo, la cui fine segnerà anche l’estinzione di una lingua. Una potente metafora teatrale, fatale e affilata come una tragedia greca, per rappresentare la ferocia della storia, l’umiliazione patita dagli indifesi e il genocidio delle minoranze, sacrificate sugli altari di irrazionali pulizie etniche o anche di più subdole pratiche di omologazione. Ne è autore il grande drammaturgo ungherese Miklós Hubay, che nel 2000 ricompose in Friuli il testo di un suo manoscritto andato perduto: un omaggio d’amore a questa regione e alla necessità della sua lingua ‘altra’.
Miklós Hubay, drammaturgo cosmopolita, ha affrontato nelle sue opere i grandi temi della sorte dell’uomo e delle atrocità della storia. Nato nel 1918 a Nagyvárad (l’odierna Oradea, in Romania), nel 1943 si trasferisce a Ginevra, dove svolge un’intensa attività diplomatica culturale. Ritornato a Budapest nel 1948, insegna all'Accademia di arte drammatica e collabora con il Teatro Nazionale. Privato dal regime della cattedra di insegnamento e della possibilità di rappresentare le sue opere, nel 1974 viene chiamato ad insegnare Letteratura ungherese all'Università di Firenze, dove rimarrà per quattordici anni, fino al 1988. Muore a Budapest nel 2011.