A cura di Augusta Eniti
Luciano Fabro (1936-2007), dopo aver trascorso la giovinezza in Friuli si trasferisce a Milano nel 1959 dove diventa uno degli esponenti dell'Arte Povera, avviando una personale riflessione sul concetto di spazio e sulla sua fruizione. Alcune delle sue opere, realizzate in vetro, mettevano a confronto le opposte funzioni della trasparenza e della specularità, mentre altre, in tubolari di ferro, erano estremamente condizionanti la percezione dello spazio in cui erano accolte. Lavori come In cubo, alla metà del decennio, arrivarono a coinvolgere direttamente lo spettatore. Dopo le opere dette ‘tautologiche’ per la pura indicazione spaziale che fornivano (Concetto spaziale, 1967), Luciano Fabro realizzò operazioni di ribaltamento della funzione simbolica comunemente accettata di forme note, come nell’Italia realizzata in vari materiali e collocata nello spazio in modi inconsueti e spiazzanti. Negli anni Settanta si collocano opere incentrate sulle specificità linguistiche della scultura, con l’utilizzo di materiali come il marmo o il bronzo accanto a vetro, tela, seta. La dimensione ambientale assume notevole importanza nei lavori successivi (Habitat) accanto alla riflessione sulla prospettiva classica, evidenziata e messa in discussione in lavori come Paolo Uccello 1450-1989, al Castello di Rivoli (1989). Negli anni Novanta ha realizzato alcune opere pubbliche tra le quali Giardino all’Italiana sull’iconografia urbana, a Basilea, e ha esposto in musei di grande prestigio internazionale (San Francisco Museum of Modern Art nel 1992; Centre Pompidou nel 1996, Tate Gallery nel 1997). Ha partecipato a manifestazioni internazionali come la Biennale Arte di Venezia e Documenta a Kassel.