PATRIARCATO DI AQUILEIA
Cromazio di Aquileia. Al crocevia di genti e religioni
Due, almeno, sono i significati di ciò che rappresentò il Patriarcato di Aquileia. Il primo è di carattere eminentemente religioso: fu l’organismo cristiano che sorresse le sorti della Chiesa nata ad Aquileia. Il secondo è riferito al potere temporale dei patriarchi, investiti fra il 1077 e il 1420 del rango di vassalli dell’imperatore sul territorio patriarcale, ossia quella che durante il basso medioevo verrà chiamata la ‘Patria del Friuli’. La prima delle due accezioni ne include una ulteriore, che guarda al Patriarcato come metropoli: sul calco della suddivisione dei poteri stabilita durante l’Impero romano, a partire dal IV secolo alla giurisdizione ecclesiastica aquileiese furono soggetti i territori della Venetia et Histria e quelli inclusi in una vastissima area estesa da Occidente, dalla confluenza del Mincio nel Po, fino al corso meridionale della Sava quando si immette nel Danubio ad Oriente, vale a dire alle antiche regioni della Raetia secunda, del Norico, della Pannonia prima e Pannonia Savia.
Questa enorme circoscrizione, fra le più vaste d’Europa, permase formalmente fino alla soppressione del Patriarcato nel 1751. Tuttavia, già durante il XIII secolo, il pur folto gruppo delle cosiddette diocesi suffraganee si era ridotto: Mantova e Como nell’attuale Lombardia; Trento; Verona, Vicenza, Padova, Treviso, Concordia, Ceneda, Feltre e Belluno nell’attuale Veneto; Pola, Parenzo, Pedena, Trieste, Capodistria e Cittanova nell’area litoranea adriatica e istriana. La diocesi aquileiese fu l’istituzione che invece promosse, anche attraverso il martirio dei suoi primi testimoni nella città romana, la cristianizzazione di quest’area così vasta. Le origini alessandrine, e non romano-petrine, della Chiesa di Aquileia si debbono alla voluta derivazione marciana: non fu san Pietro, ma san Marco a inviare da Alessandria i suoi emissari per la cristianizzazione dell’area a nord dell’Adriatico. Tale leggenda, suffragata da numerose tracce conservatesi nei culti e nelle devozioni friulane, permase anche sul versante liturgico e rituale (il cosiddetto rito ‘patriarchino’) con delle marcate specificità culturali, ad esempio quelle legate alla musica. Questo vivace scenario fu lo specchio delle scelte politiche e dottrinali dei patriarchi, decisi a trovare motivi di distinzione sia nei confronti del papato, sia rispetto ai poteri che, nel tempo, si affermarono nella cristianità (come quelli della confinante, e cronologicamente concomitante, metropoli di Milano durante il IV-V secolo), in particolare grazie all’apostolato di Cromazio d’Aquileia.
L’evangelizzazione del territorio fu promossa anche con l’istituzione di ulteriori diocesi sul territorio dei due municipi di Aquileia e Cividale: Iulia Concordia (Concordia), Iulium Carnicum (Zuglio), Emona (Lubiana), Tergeste (Trieste). Durante il IX secolo, con la dominazione carolingia, il confine della diocesi aquileiese fu stabilito lungo il corso della Drava, distinguendolo da quella di Salisburgo. Ciò pose dei limiti settentrionali al Patriarcato, che comprendeva i territori d’oltralpe della Stiria e della Carinzia, oltre alla Carniola almeno fino alla nascita della diocesi di Lubiana (1463). La fase dello ‘scisma dei tre capitoli’ (554), quando Milano e Aquileia si rifiutarono di accogliere la condanna dell’imperatore bizantino Giustiniano nei confronti dei testi dei nestoriani – dando vita allo scisma con la Chiesa di Roma che perdurò per almeno un secolo e mezzo – dimostrò appieno l’importanza della diocesi aquileiese. Tuttavia, proprio in quegli anni, la pressione esercitata dalle popolazioni longobarde, decise ad espandersi verso Occidente, provocò il trasferimento della sede vescovile a Grado, dando origine, di fatto, ad una nuova Chiesa che rappresentò il fondamento del futuro centro patriarcale veneziano. Questa ulteriore distinzione, sancita definitivamente nel 731, comportò alleanze e strategie politico-ecclesiastiche differenziate, che rafforzarono i rispettivi ruoli e promossero una ulteriore rinascenza del credo aquileiese, ben testimoniata dall’azione riformatrice del patriarca Paolino d’Aquileia (circa 750-802), venerato poi come santo. A partire dalla fine dell’VIII secolo, nel territorio patriarcale si istituirono quattro abbazie benedettine: Santa Maria di Sesto, Santa Maria maggiore di Summaga (Portogruaro), San Pietro apostolo di Rosazzo, San Gallo di Moggio. La promozione del rinnovamento spirituale e materiale apportata dal monachesimo ebbe dunque anche in seno al Patriarcato le sue testimonianze.
La discesa dell’imperatore Enrico IV per implorare la revoca dalla scomunica, a lui imposta da papa Gregorio VII durante la concitata fase della lotta per le investiture, comportò la nomina del patriarca di Aquileia a principe vassallo dell’Impero. Il 3 aprile 1077, per ringraziare il patriarca Sigeardo dei favori ricevuti, l’imperatore gli attribuì il titolo di duca del Friuli e marchese dell’Istria. Il provvedimento istituì il principato ecclesiastico di Aquileia, delimitato dall’Adriatico, dalla Livenza a Occidente e dal corso del Timavo a Oriente. La forma di organizzazione ‘statale’, che aveva i suoi centri amministrativi e di potere ad Aquileia, a Cividale e, progressivamente, a Udine, perdurò per almeno quattro secoli. In qualità di vassalli dell’imperatore, i patriarchi furono principi a lui soggetti, e come tali necessariamente a lui graditi. Gli influssi culturali, linguistici ed economici dall’area tedesca sul Friuli furono una delle conseguenze di questo stretto legame. L’assetto evoluto dato dall’amministrazione patriarcale fu rafforzato ulteriormente dall’emanazione delle Costituzioni della Patria del Friuli, la raccolta legislativa, promulgata dal patriarca Marquardo di Randeck nel 1366, che regolava la convivenza civile in seno al territorio patriarcale.
Le guerre con i veneziani intraprese dopo il 1411 videro soccombere il Patriarcato nel 1420, quando la Patria, sulla base del cosiddetto ‘patto di dedizione’, fu inclusa nella Repubblica di Venezia. Il Patriarcato ruotava nell’orbita degli imperatori, i quali attraverso di esso si avvalevano del controllo dei traffici che avvenivano nell’area alto-adriatica: l’interesse veneziano per il Friuli era sostanzialmente lo stesso. Minata dalle lotte intestine, soprattutto fra Udine e Cividale, la Patria non riuscì a far fronte alle spinte di Venezia, le cui truppe, peraltro, erano dirette da Tristano, membro della famiglia dei Savorgnan, il principale casato nobiliare friulano. Con la pace stipulata con gli imperiali, la Repubblica di Venezia riconobbe le istituzioni che avevano fino ad allora sorretto il Patriarcato, le Costituzioni, il Parlamento e i consigli cittadini, sancendo un dominio che perdurò per circa altri quattro secoli.
Patriarchi. Quindici secoli di civiltà fra l’Adriatico e l’Europa centrale
Il monachesimo benedettino in Friuli in età patriarcale
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